Vi invio il tema scritto da Chiara Cirucca vostra ex alunna che frequenta
il liceo Classico Chris Cappell College 3C. La traccia richiedeva di mettere a confronto il sesto canto dell’inferno
e la politica odierna
Il sesto
canto dell’Inferno della Divina Commedia inizia con Dante che si riprende dallo
svenimento dopo aver parlato con i due cognati Paolo e Francesca e già, mentre
ancora è confuso dalla tristezza e l'angoscia per quegli sventurati, vede nuovi
dannati e nuove pene tutto intorno a sé. I dannati che troviamo in questo
girone sono i golosi, persone che in vita hanno peccato per eccesso di
gola, e che sono puniti da una pioggia
incessante e immersi in un fango putrido. A guardia di questi dannati c’è Cerbero,
mostro mitologico già presentato da Virgilio nell’Eneide e da Ovidio nelle
Metamorfosi, che Dante trasforma in una figura ibrida a metà tra una bestia
demoniaca e un essere umano. In questo canto spicca una figura di rilevante importanza che ci illustra la
decadenza di Firenze dal punto di vista politico, Ciacco. Attraverso la figura
di Ciacco, Dante vuole renderci partecipi del degrado dell’umanità immerso nel
peccato della gola, che era particolarmente infamante, infatti, in quei tempi
di carestia, chi si macchiava di questo crimine rischiava di essere indicato
come una persona molto peccaminosa. Dante affida a Ciacco la condanna del
degrado morale e politico della sua città, Firenze, e questo concetto viene già
introdotto nei versi dove Ciacco dice “Riconoscimi, se sai: tu fosti, prima ch’io
disfatto, fatto” e Dante risponde “l’angoscia che tu hai forse ti tira fuor
della mia mente, si che non par ch’i’ ti vedessi mai”, chiaramente il sudiciume
esteriore rappresenta la sporcizia interiore di Ciacco, ma allo stesso tempo
anche il degrado morale e politico che investe la città. Dante è profondamente
infastidito da come vanno le cose politiche ai suoi tempi soprattutto per il
fatto che, quando scrive la Divina Commedia, si trova in esilio, mentre la sua
opera è ambientata durante gli anni in cui lui ricopriva la carica di Priore,
carica per la quale verrà accusato di concussione ed esiliato. Oltre settecento
anni dopo non abbiamo un autore che scriva una Divina Commedia ambientata negli
anni dell’Italia del 2015, ma il degrado polito e sociale è rimasto immutato
nel corso dei secoli, come se l’inchiostro usato da Dante per redigere quei
versi così famosi e cari al mondo, non possano cambiare la sorte a cui è
destinato il Paese che lui tanto amava, e che lui stesso attaccherà nel sesto
canto del Purgatorio.